Relazione “Restaurare il Moderno”

Relazione presentata al Convegno “Futurismo Razionalismo – La sfida della modernità”Sabaudia Aprile 2001

RESTAURARE IL MODERNO

È ormai consolidata nel mondo della cultura la valutazione che le opere di architettura prodotte dal Movimento Moderno sono a pieno titolo equiparabili a quelle storiche e che, pertanto, risulta legittimo intervenire su di esse per garantirne il mantenimento con le modalità ed i criteri del restauro scientifico già affermatosi per gli edifici storici.

Gran parte del patrimonio architettonico moderno e delle opere del Razionalismo in Italia versa in pessime condizioni per la mancata o scorretta manutenzione, le manomissioni grandi e piccole apportate nel tempo, i frequenti cambi di destinazione d’uso, ed è urgente intervenire per salvaguardarne l’integrità, la leggibilità, la contestualità nella città, se non addirittura, in taluni casi, la sopravvivenza.

Il degrado accumulato nei decenni trascorsi è il segno del ritardo e della sottovalutazione del patrimonio artistico e culturale del MM da parte del mondo della cultura, probabilmente perché troppo contiguo, oggetto d’uso quotidiano, legato ai nuovi mezzi di produzione industriale e, quindi, privato dell’aura dell’unicità tipica dell’opera d’arte storica.

Per questo patrimonio, analogamente a quello dei monumenti storici, si pone oggi il tema della conservazione e del restauro; ma mentre per l’architettura storica le modalità degli interventi di conservazione e restauro sugli edifici, o su interi brani di città, risultano ormai sufficientemente consolidati sotto il profilo metodologico, scientifico e tecnico, per il Moderno è necessario rilevare alcune specificità ed alcuni rischi.

Il rischio contrapposto in cui si può incorrere negli interventi sulle opere moderne è, da un lato, quello della relativa indifferenza non solo alle destinazioni d’uso ed alle nuove funzioni che vengono chiamati ad ospitare questi edifici, ma anche alle tecnologie ed ai materiali originari che vengono spesso sostituiti con altri più recenti di facile utilizzazione e maggiori garanzie funzionali; questi, però, spesso, per loro intrinseca natura, alterano il senso stesso degli edifici. L’altro rischio è quello di trattare il Moderno come una categoria ormai storicizzata e quindi restringere gli interventi in una ottica paralizzante, musealizzante, che non distingue le differenze ed impedisce di esprimere valenze vitali ancora presenti in queste architetture, astraendole dalla dinamica della trasformazione urbana.

E’ necessario perciò, di volta in volta, situare la strategia dell’intervento all’interno di questa divaricazione, cercando di interpretare lo spirito dell’opera per non tradirla.

E’ da rilevare, purtroppo, che il primo rischio è ancora quello prevalente, ed è forse ancora utile fare leva su strumentazioni in parte obsolete, come i vincoli, per evitare rischi irrimediabili nell’immediato, mentre è auspicabile che si sviluppi contemporaneamente una coerente politica di conservazione e valorizzazione del Moderno.

Il primo problema che si pone per un edificio moderno, in particolare se destinato ad usi pubblici, è quello della sua attualità funzionale e dell’eventuale livello di trasformazione necessario per assolvere le nuove richieste. In via preliminare, essendo le funzioni degli edifici ancora molto vicine a quelle attuali, è opportuno verificare quali siano i livelli di inadeguatezza funzionale e se non sia possibile procedere ad opportune deroghe da regolamenti e normative che, se rispettati integralmente potrebbero compromettere in maniera significativa, se non totale, l’architettura dell’edificio.

Paradossalmente in molti casi risulta più difficile procedere ad interventi di riuso su edifici moderni che su quelli “storici” in quanto i primi, pur facendo della flessibilità degli spazi uno dei propri presupposti, raggiungono, nell’intreccio tra tipologia, forma e funzione, un equilibrio difficilmente modificabile; i secondi invece, pur nel rispetto delle forme e degli spazi originari avendo ormai perso ogni connotazione funzionale attuale, si offrono come spazi “decontestualizzati”, di fatto indifferenti alle funzioni “altre” che vanno ad insediarsi.

Nel caso in cui si verifichi l’impossibilità di trovare mediazioni fra le caratteristiche architettoniche dell’edificio e l’adeguamento funzionale, e quindi si proceda alla dismissione della funzione originaria, nella scelta dei nuovi utilizzi, è indispensabile che la destinazione d’uso futura dell’edificio sia analoga a quella per cui è stato progettato, per garantire il medesimo uso degli spazi ed il mantenimento del ruolo urbano.

La ventilata ipotesi di dismissione dell’ufficio postale di Sabaudia, opera dell’Arch. Mazzoni, pone un serio problema nella ricerca di una destinazione d’uso che giustifichi il rispetto del grande spazio del salone e della articolazione retrostante, compresi gli apparati decorativi e gli arredi e, allo stesso tempo, abbia una forte connotazione pubblica e sociale, simile a quella svolta fino ad oggi.

Sono numerosi, anche in terra pontina, i casi di trasformazioni improprie di edifici che hanno compromesso, in tutto o in gran parte, la qualità delle architetture o il loro ruolo urbano: basterà citare l’ufficio postale di Latina, o, a Sabaudia, le trasformazioni del Municipio e l’uso privatistico di gran parte dell’isolato centrale che conteneva quasi tutti i luoghi associativi civici (casa del Fascio, dopolavoro, teatro) oggi negati all’uso pubblico.

Anche gli adeguamenti strettamente funzionali di impianti ed attrezzature necessarie all’evoluzione delle funzioni che si svolgono negli edifici, considerati erroneamente interventi secondari, spesso rispondono alla sola logica funzionale degli apparati tecnologici sovrapponendosi indifferentemente alle architetture, senza tenere in conto la stretta integrazione fra edificio ed apparati tecnici, che  in molti casi, nella architettura razionalista, sono occasione di soluzioni particolari e specifiche che concorrono direttamente alla definizione della forma.

Altro tema è quello relativo alla difficoltà, e spesso alla impossibilità, di procedere ad interventi di restauro conservativo, inteso in termini di ricostruzione filologica di parti di edifici odi alcuni apparati, a causa dell’impossibilità di ricostruire gli elementi originari.

Un aspetto che differenzia gli interventi di restauro del moderno da quello storico, sono sostanzialmente le soluzioni tecniche che si devono utilizzare. Nel caso di interventi su edifici storici, per quanto l’evoluzione dei materiali edilizi sia stata molto veloce negli ultimi decenni, l’attività edilizia rimane sostanzialmente all’interno del ciclo di lavorazioni della tradizione artigianale e, semmai, le difficoltà maggiori sono quelle legate alla insufficienza di maestranze dotate della “manualità” e dell’esperienza adeguata. Invece gli interventi di restauro conservativo, basati su criteri filologici, sugli edifici moderni risultano, talvolta, impossibili per alcune loro parti perché gli elementi che compongono l’edificio sovente appartengono a cicli produttivi industriali ormai dismessi o profondamente trasformati.

Nonostante che il Razionalismo Italiano, a differenza delle altre esperienze coeve in Europa abbia mantenuto un forte collegamento con la storia e la tradizione culturale e costruttiva, è stata consistente l’introduzione di nuovi materiali e sistemi tecnologici sperimentali, o comunque innovativi, derivanti dalla produzione industriale.

Nell’esperienza dell’edificazione delle città pontine il sistema costruttivo utilizzato per la realizzazione di gran parte degli edifici, è il “sistema misto” costituito da muratura portante in pietrame o tufo listato con filari di mattoni e solai in travetti con cordoli ed irrigidimenti in cemento armato e, solo dove necessario, sono utilizzati la struttura libera verticale o l’aggetto in cemento armato. Il sistema non è innovativo, ma innovativo è il modo di realizzare forme e tipologie edilizie, con dispositivi tecnici di nuova concezione che utilizzano materiali ed impianti, progettati ex-novo o già esistenti, in combinazioni originali come: le ampie vetrate realizzate con serramenti sottili ferro-finestra, il vetrocemento nei solai, nelle coperture e sulle pareti verticali, i rivestimenti di intonaco Terranova o di mosaico, gli apparati di finitura e decorativi di produzione industriale (copertine, balaustre, cornici, zoccolature), o realizzati su disegno originale (zanzariere, oscuramenti, serramenti, ecc.), impianti tecnologici; tutti accessori che assumono un ruolo primario ed inscindibile nella composizione delle architetture. Un esempio l’ufficio postale di Latina dell’arch. Mazzoni.

Oggi risulta praticamente impossibile reperire questi elementi all’interno delle produzioni correnti, sia perché determinati materiali, già all’epoca sperimentali, sono stati superati e sono usciti dal sistema produttivo sia perché taluni dispositivi hanno dimostrato nel tempo la loro insufficienza. Così, se per la parte realizzata con sistemi tradizionali è possibile, nella maggior parte dei casi, ripristinare agevolmente le condizioni originarie, per gli interventi relativi alle parti innovative degli edifici, si apre lo spazio all’intervento del progettista che deve approfondire le motivazioni delle lacune tecniche e adottare soluzioni in grado di risolverle nel rispetto sostanziale delle forme dell’opera. Ciò determina, in parte, nuove sperimentazioni e sicuramente oneri economici aggiuntivi a quelli correnti.

Ad esempio per procedere alla sostituzione di infissi ferro-vetro, caratteristici per la loro esilità, ma anche per la loro instabilità e fragilità e incapaci di garantire i livelli di comfort termo-acustici oggi richiesti, nella produzione corrente di serramenti è difficile trovare profili di dimensioni contenute. Sono stati perciò sempre più utilizzati serramenti con spessori più grandi di materiali e colori diversi che spesso hanno compromesso, anche quando è stata rispettata la partizione originaria, il disegno dei prospetti.

L’alternativa è quella di ricercare nelle produzioni di nicchia (molto più onerose di quelle correnti) o, addirittura, far realizzare ad “hoc” dei profili metallici stretti ma profondi con un disegno in grado di contenere vetri di sicurezza o a camera in sostituzione delle semplici lastre di vetro; strada seguita, ad esempio, nel restauro della Stazione ferroviaria di Latina Scalo.

Un altro aspetto importante, particolarmente rilevante nelle città di fondazione pontine, è il recupero della contestualità urbana delle opere di architettura moderne attraverso l’arredo urbano inteso, non tanto quanto corredo di elementi ed oggetti minuti funzionali all’utilizzo degli spazi, quanto come completamento e conferma dell’immagine architettonica della città.

 Il linguaggio semplificato, severo ed elegante, in alcuni casi al limite della povertà linguistica, degli edifici delle città di fondazione, trova sostegno unitarietà e completamento, nel trattamento omogeneo delle superfici degli spazi pubblici, nel colore e nella texture dei materiali utilizzati, negli apparati di illuminazione stradale, nelle sedute, nelle sistemazioni del verde, ecc..

La perdita o l’affievolimento di questi elementi riduce fortemente la compattezza dell’immagine urbana, slegando i rapporti percettivi esistenti fra gli edifici.

La sostituzione dell’infisso di legno con quello di alluminio anodizzato o del portone opaco in legno con quello in vetro ed alluminio, il montaggio di nuove inferriate “decorative”, la chiusura di logge e balconi con vetrate, il cambio dei colori delle facciate, la modificazione dei rivestimenti, la manomissione delle cornici delle finestre poste a piano terra per realizzare nuove vetrine o ingressi ai negozi, la ricostruzione delle pavimentazioni dei marciapiedi e degli spazi pubblici con materiali diversi, la sostituzione dei sostegni in cemento della illuminazione pubblica con eccentrici pali in alluminio, le invadenti insegne degli esercizi commerciali, i più diversi dispositivi di ombreggiamento, l’inserimento di sedute e cestini dalle forme e dai materiali eterogenei, ecc., sono tutti micro-interventi, singolarmente poco intrusivi, che però, nel loro insieme, hanno compromesso fortemente la leggibilità delle forme degli edifici e dell’immagine urbana.

Le alterazioni ed i guasti prodotti nei decenni sia sugli edifici privati che negli spazi pubblici, sono la riprova della scarsa comprensione collettiva del carattere architettonico e dello stile delle città del Razionalismo e della poca attenzione esercitata nel passato dagli Enti preposti al controllo ed alla salvaguardia, Amministrazioni Comunali e Soprintendenze.

Sé è necessario l’avvio di una strategia coerente da parte delle Amministrazioni per definire strumenti e procedure, in grado di governare il continuo processo di trasformazione e modificazione, soprattutto degli elementi di finitura, è da tenere presente che per i centri di fondazione bisogna provvedere sostanzialmente al ripristino delle condizioni originarie e, quindi, il compito dei progettisti dovrà essere quello dell’armonizzazione tra il recupero delle forme, dei materiali e degli accessori e le nuove esigenze funzionali e tecnologiche intervenute fino ad oggi.

I primi segnali in questa direzione ci sono (es. il Piano direttore dell’Arredo Urbano del centro di fondazione di Sabaudia), ma è indispensabile ampliare e completare il quadro degli strumenti normativi e realizzare quei supporti economici e quegli incentivi che, soprattutto nella sfera privata, possono costituire la spinta ad un processo di rinnovamento coerente con i presupposti architettonici degli edifici (è evidente l’efficacia del provvedimento del recupero IRPEF del 36% contenuto nelle ultime finanziarie e la riduzione della aliquota IVA al 10% per gli interventi di manutenzione).

A livello regionale è stata annunciata, recentemente, la redazione di una legge mirata al recupero ed al restauro delle architetture Moderne, ma anche a livello comunale sarebbe necessario agire sugli aspetti fiscali di propria competenza (ICI, oneri concessori, tasse di occupazione di suolo pubblico), o avviare veri e propri Piani di Recupero coordinati e cofinanziati dalle Amministrazioni, fino ad arrivare alla pratica della “Manutenzione programmata”, unica prassi in grado di consentire il costante ed omogeneo controllo della qualità edilizia della città a costi certi e programmabili.

Vittorio Tomassetti

Aprile 2001